sabato 13 giugno 2009

MI RITORNI IN MENTE

13 commenti:

ser ha detto...

che spettacolo!

guardate questo negozio ha detto...

ahahaahah

non male il parcheggio... ha detto...

a regola

bravo barbiere ha detto...

eh si

tradizione ha detto...

di famiglia

campagna elettorale ha detto...

meglio di motti!

a maurì ha detto...

magna tranquillo

gherry ha detto...

ma chi è questo spammone???

Anonimo ha detto...

Il NOI che VINCE sull'IO -
di Nicola Fangareggi

Si era detto che il voto amministrativo di sabato e domenica scorsi possedesse il valore simbolico che si attribuisce alle sfide decisive della storia locale: le contese che segnano un epoca, un punto di svolta, la possibile alba di una nuova era di cui a lungo si rivelano i chiarori.

Per molti versi è stato così. L’avanzata della Lega in terra reggiana assume proporzioni inattese ai propri stessi fautori, ne disegna un tessuto elettorale che ha mutato pelle e alterato il senso di appartenenza, consegna agli eredi locali dell’intuizione bossiana il compito di trasferire oltre Po il modello di governo che si è imposto nell’ultimo ventennio nel Nord Italia. Il leghismo cresce: non è più solo protesta, è anche pragmatismo fattosi metodo e linguaggio, assorbe l’onda lunghissima del riflusso post ideologico, fa proprie istanze di vissuto quotidiano alle quali né il moderatismo di destra né quello di sinistra sanno prestare volti e contenuti.

Ma nella tracimazione leghista a sud del Grande Fiume emergono in piedi, come canne di bambù che si piegano senza spezzarsi, identità territoriali che si riconoscono in altri modelli di governo, in altre antropologie politiche. Apparentemente anomale, fuori della tradizione post comunista, cui l’appartenenza all’alveo riformista dice qualcosa ma non tutto.

Sono antropologie politiche neo-umanistiche che si ispirano a pensieri forti quanto minoritari nell’Italia berlusconiana a cavallo del secolo – i padri costituenti, il “sindaco santo” Giorgio La Pira - eppure capaci di proporsi nella loro alterità come opzioni possibili di alternativa alla vera religione del nostro tempo: l’individualismo nella società di massa, l’auto-affermazione, la competizione senza freni e senza limiti.

C’è questo nella piena, sonante, per molti versi inattesa vittoria di Graziano Delrio, che solo un occhio disattento o in malafede non può cogliere nella sua enormità: una identità emiliana e una specificità reggiana che non si accontentano di resistere a ciò che non possono metabolizzare, ossia l’identificazione nell’Uomo Solo al Comando, bensì rilanciano i semi atavici del proprio sentirsi parte del tutto, cooperanti tra vicini e tra simili, protagonisti collettivi del vissuto comune.

Anonimo ha detto...

E’ il Noi che vince sull’Io, per tornare al paradigma sopravvissuto a una campagna elettorale caotica e velenosa. Un Noi che ha imparato a riconoscersi nel Graziano vincente perché credibile, al quale la forte visibilità degli ultimi tempi ha affidato la missione di restituire alla Reggio “di una volta” il senso del proprio essere luogo contemporaneo di civiltà.

E’ con la vittoria di oggi che Delrio diventa fino in fondo sindaco di Reggio, portando a compimento una visione del governo locale le cui basi, a prescindere da appartenenze e preferenze, non possono che essere apprezzate anche dagli avversari. Il dibattito politico è da tempo abituato ad espungere idee-forza quali rettitudine, etica, moralità, spesso derubricate alla stregua di deleteri cedimenti alla presunta ideologia del buonismo. Il fatto è che nel profondo dell’animo del cittadino-elettore non c’è derubricazione che tenga: quando va a votare, soprattutto quando in ballo c’è il governo della propria città, ovvero interessi molto vicini e molto concreti, la sua scelta viene fortemente orientata dall’opinione sulla persona del candidato.

Su questo terreno Delrio ha trionfato: sulla credibilità personale, sull’etica laica rispettosa di qualsiasi opinione o confessione, sull’evidente disinteresse individuale rispetto alle eventuali prospettive di carriera. Un sindaco che piace come persona perché non dice Io, ma dice Noi. E in quel Noi la maggioranza dei cittadini si riconosce – e una gran parte degli altri comunque apprezza.

Al netto dell’avanzata della Lega, che pure conferma il dato regionale e si limita nella sostanza a riequilibrare a proprio favore i rapporti di forza nel centrodestra, il caso Reggio Emilia dice al resto d’Italia che qui esiste un modello alternativo all’Italia di Papi e dei piccoli Papi che vi si ispirano. Quel modello ha un volto estraneo ai principi di telegenicità sui quali la repubblica del ventunesimo secolo parrebbe fondarsi. Propone calma, pazienza, per taluni a volte persino troppa prudenza. Non manca di commettere errori. Eppure scava sotto traccia, conquista consensi, stima diffusa, apprezzamenti profondi che nessuna campagna di stampa è capace di sovvertire. E vince. Vada come vada il futuro, il Pd nazionale dovrebbe dare un’occhiata a quel che è successo a Reggio Emilia.
(www.reggio24ore.com)

gherry ha detto...

articolo fumoso,volutamente contorto e non lineare e già questo da fastidio...tesi di fondo smentita dai fatti.
Non male questo giornalista ^^

ser ha detto...

nessuna discussione in merito alle ronde grigie?

Anonimo ha detto...

che schifo di mondo